Guida completa alla produzione domestica di pellet per una gestione autonoma ed efficiente

Negli ultimi tempi, il pellet sta prendendo sempre più piede come metodo per riscaldare casa, soprattutto in chi ha già una stufa apposita. Pochi si soffermano davvero su come viene prodotto – perlopiù si acquistano i sacchi in negozio e si usa così. Però, c’è un’opzione alternativa, più ecosostenibile e autonoma: autoprodursi il pellet. Un’abitudine non proprio nuova ma che oggi si è fatta più semplice da mettere in pratica. Si tratta di prendere gli scarti di legno o residui vegetali e trasformarli in pellet da consumare in proprio. La vendita non è contemplata, ma i benefici economici e ambientali si notano, eccome. Chi ha un giardino o uno spazio esterno spesso scopre nell’autoproduzione un modo per non buttare via nulla e risparmiare qualche soldo. Diciamo che è un’idea che dà valore a ciò che altrimenti finirebbe nel cassonetto.

Ora, per fare pellet in casa serve selezionare molto bene il legno da usare: deve essere naturale, senza trattamenti chimici, altrimenti si rischiano fumi tossici durante la combustione. Niente quindi da mobili o materiali verniciati o incollati, roba che sprigiona sostanze nocive. Piuttosto è consigliato guardare a ramaglie, rami secchi o gli scarti di legno non trattato, come quelli che si trovano spesso in campagna o nelle zone rurali. Una scelta del genere fa sì che il pellet sia pulito, sicuro, e che la stufa non causi problemi in casa o danni all’ambiente intorno. Per chi abita dalle parti di zone agricole, recuperare questi materiali è spesso facile e aiuta a limitare l’impatto ambientale legato al riscaldamento.

Che materiale scegliere e come prepararlo

La resa del pellet fatto in casa cambia parecchio in base al tipo di legno e a come lo si prepara. Scarti di legno naturale, ramaglie o residui di potatura sono quello che va cercato: proprio quei pezzetti – ben noti nella montagna o nelle campagne del Nord Italia – che in genere finiscono inutilizzati. La specie legnosa poi fa la differenza: legni teneri come pino e abete contengono una buona dose di lignina e resina, che fanno sì che il pellet si aggreghi bene senza dover aggiungere altro. Se invece si usa faggio, betulla o altri legni duri, può servire un po’ di collante naturale per ottenere una buona compattezza. Com’è facile intuire, i legni più resinosi fanno “presa” da soli, mentre quelli duri richiedono qualche attenzione in più.

Guida completa alla produzione domestica di pellet per una gestione autonoma ed efficiente
Pellet: ecologico combustibile pronto all’uso, alternativa sostenibile per il riscaldamento domestico, visibile su superficie di legno con fuoco sullo sfondo. – hotelhp.it

Dopo aver raccolto il materiale, si passa alla triturazione. Il biotrituratore domestico, oggetto ormai alla portata di molti, trasforma rami piccoli e medi in pezzi minuscoli – chiamati cippato – di pochi millimetri. Non si tratta solo di una lavorazione meccanica; la granulometria influisce realmente sulla qualità del pellet finale. Se i pezzi sono troppo grossolani, la combustione soffre, il pellet dà polvere in eccesso e la resa della stufa cala. Alcuni biotrituratori permettono di regolare la misura, così si può ottimizzare il materiale a proprio piacere. Chi ha provato questa fase sa bene la differenza tra un cippato omogeneo, ottimale per fare pellet, e uno “grossolano” o irregolare.

Essiccazione, pellettizzazione e conservazione

Essiccare il materiale triturato nel modo giusto è un passaggio chiave. Il legno deve arrivare – non meno, non più – a un’umidità attorno al 10%. Se si esagera con l’acqua, poi il fuoco non brucia come si deve e si sprecano energie. Per misurare quanto è asciutto il cippato, usare un igrometro è semplice e pratico. Se il contenuto di umidità rimane alto, ci sono due strade: si mescola con segatura già secca, oppure si lascia ad asciugare fuori – ovviamente solo se il tempo lo permette. Questo dettaglio, per chi abita in città, spesso passa inosservato ma cambia tutto nel rendimento della combustione casalinga.

Quando si raggiunge il giusto livello di secchezza, si passa alla pellettizzazione. La pellettatrice è una macchina che schiaccia e modella il cippato in piccoli bastoncini uniformi di circa 2 cm. Il calore prodotto da questa compressione fa sì che la lignina nel legno si attivi, funzionando come un collante naturale tra le particelle. Se il legno ha poca lignina, si può aggiungere – a volte – un collante biologico per migliorare la tenuta. Alcuni modelli per uso domestico promettono produzioni fino a 100 kg all’ora – mica poco! In pratica, oggi c’è la tecnologia giusta anche per chi non vuole affidarsi solo ai grandi impianti industriali.

L’ultimo aspetto da curare è come conservare il pellet. Va tenuto lontano dall’umidità perché, se assorbe acqua, perde quella secchezza conquistata con fatica. L’ambiente deve essere asciutto, così il pellet dura per tutta la stagione fredda, senza problemi. È chiaro che la produzione casalinga non raggiunge i volumi di quella industriale, però l’autoproduzione è una valida strada per chi desidera più autonomia e vuole utilizzare al meglio le risorse locali, tagliando sprechi e costi – un motivo in più per provarci.

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